Tombamenti e tombati

Un primato poco noto di Genova è quello che vede il capoluogo ligure come la città italiana tra le grandi con il più alto numero di cimiteri comunali. Esattamente 35, contro gli 8 di Milano, gli 11 di Napoli e i 10 di Roma. Un primato eredità del lontano 1926, quando, con regio decreto, vennero inglobati i 19 comuni confinanti con la Superba in quella che poi diventerà la Grande Genova del regime fascista. In quegli stessi mesi iniziavano i lavori di tombamento del litorale di Sampierdarena, uno dei comuni appena fagocitati, che avrebbero cambiato per sempre il destino di Genova, dando il via ad una lunga stagione di sacrifici e rinunce per fare spazio al porto.

Oggi quel lungo percorso è tutt’altro che finito. Dopo gli immani riempimenti per aeroporto, Italsider e porto di Pra’, l’abitudine di scacciare il mare con il cemento per fare spazio al business non ha trovato ancora pance sazie: tombata calata Bettolo, si tomba la banchina di Sestri Ponente per Fincantieri (che doveva essere un ribaltamento a mare per restituire spazi alla città, diventando poi, senza troppi proclami, un raddoppio delle aree industriali), ci si prepara per allargare la pista aeroportuale con 9 milioni di metri cubi di smarino della Gronda e a tombare per sempre anche le banchine a pettine di quel porto di Sampierdarena dove tutto o quasi è iniziato.

Quando tutto ciò sarà portato a compimento, avremo quasi 8 chilometri quadrati di tombamenti complessivi. Una cifra che sfiora il 12% rispetto alla superficie urbana dello stesso comune di Genova, che, al netto dei 174,3 chilometri quadrati di aree verdi e boschive, arriva a contare 66 chilometri quadrati di spazi antropici.

L’impatto economico di questo investimento in termini di spazio, è di 5,3 miliardi di euro di valore aggiunto comprendente ricavi diretti e indiretti. Una cifra a cui si arriva grazie anche alla produzione di Vado Ligure, recentemente potenziato con un nuovo tombamento di 230mila metri quadrati. Di questi soldi, secondo il bilancio di Autorità di Sistema Portuale, il 60% rimane in Liguria, vale a dire 3,2 miliardi. Meno rispetto al turismo regionale, altra vocazione ligure utile ad un confronto, che in anni pre Covid arriva a 5,7 miliardi. Per la portualità sono 28 mila gli occupati diretti a Genova, 8mila a Savona, per un complessivo pari al 6% dei lavoratori liguri. Per completare il confronto, sempre il settore turistico impiega, registrati, 98 mila addetti.

Un bel bottino, ma con ricadute negative altrettanto dirette e indirette per la città. Il porto, infatti, contribuisce al 60% del totale delle immissioni di inquinanti prodotte a Genova ogni anno, con 147 mila tonnellate di CO2. L’elettrificazione delle banchine, saranno sei nel 2025, permetteranno un abbattimento del 25% sulla produzione di inquinanti in loco, ma il costo energetico sarà mostruoso: secondo le stime della stessa Authority, il consumo di elettricità di una nave da crociera equivale a quello di una città di 80 mila abitanti. Savona, Vado, Bergeggi e Albisola messe insieme. Una portacontainer di medie dimensioni solo 30 mila. Cioè solo Voltri e Pra’.

Questo è un grezzo rapporto costi benefici, che rende l’idea delle dimensioni della ricerca del profitto portata avanti a suon di cemento e piazzali. Una scommessa che osservata da una prospettiva geopolitica sembra non stia andando nel migliore dei modi: nel Mediterraneo i traffici degli scali portuali sono aumentati negli ultimi anni, fatta salva la parentesi Covid, di circa il 7% annuo, mentre quelli italiani hanno fatto registrare una crescita solo del 2%. A Genova, per trainare questo inseguimento partito male, il porto continua a cercare ‘spazio logistico’, fagocitando vecchio e nuovo, mare e aria.

La scelta di tombare buona parte del porto per rispondere agli interessi tentacolari del mondo sans frontières del commercio globale quindi è una scommessa ad alto rischio. Senza un’industria alle spalle, senza un’economia manifatturiera in salute, la produzione del porto di Genova sempre di più si basa sull’offerta di spazi vuoti da riempire con container pronti a lasciare la città il prima possibile, lasciandoci solo rumore, aria pesante e qualche spicciolo, alla stregua di un casello autostradale di uno svincolo di provincia. Grazie e arrivederci.

Arrivederci? “Forse – aggiunge il Mercato – Vediamo chi è capace a offrire di più, con meno costi e meno seccature”. Da questo punto di vista la leadership oggi incontrastata dello scalo genovese è solo italiana e gli sconquassi economici e geopolitici di questi mesi potrebbero fare saltare il banco. Il destino del nostro porto non è in mano nostra, dobbiamo esserne consapevoli. Per lo meno non lo è più. E se a Pechino o a Washington decideranno di staccare una qualche spina, lo spazio che con così tanto sacrificio abbiamo creato per metterlo a disposizione dei grandi vettori mondiali, e per poi raccoglierne le briciole, resterà vuoto. E Genova avrà il suo 36esimo cimitero.

2 risposte a “Tombamenti e tombati”

  1. […] aprire un dibattito sul destino della nostra città, oggi in ballo a interessi privati che per lei riservano la “visione” di un grande un grande piazzale riservato alle merci di passaggio, secondo il distorto solito progetto di rincorsa al profitto a vantaggio dei pochi e fregandosene […]

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    Greetings! Very useful advice within this article! Its the little changes that make the most significant changes. Thanks a lot for sharing!

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