Genova insegue oggi lo stesso destino riservato ai centri storici delle città globalizzate, in un processo che ne modifica l’aspetto estetico, la conformazione urbanistica e il tessuto sociale, per plasmarli ad uso e consumo di una nuova industria, quella turistica.
In una prospettiva di ristrutturazione capitalista post-industriale, il turismo di massa ridefinisce le nostre città, adattandole ad un consumo pensato non più per chi le vive, ma per chi le attraversa per pochi giorni a scopo ricreativo.
Uno dei motori del processo di turistificazione è la costruzione di grandi opere che hanno un impatto significativo su alcune aree della città e sui suoi residenti, spesso pensate per far trarre profitto ai privati da tutto ciò che già rappresenta o può diventare una ‘attrazione turistica’. L’obbiettivo principale delle istituzioni pubbliche è anche quello di offrire la città agli investimenti privati, in pieno stile neoliberista.
Questo cambiamento di rotta produce una riorganizzazione del centro storico della città principalmente in funzione del turismo: dai mezzi di trasporto ai servizi, passando per il mercato immobiliare e le economie di quartiere, lo spazio urbano viene adattato a chi soggiorna in città per pochi giorni.
Si moltiplicano gli appartamenti acquistati da grandi investitori e affittati ad uso turistico, in genere su piattaforme online di mutlinazionali basate altrove, e i costi delle case con affitti a lungo termine per gli abitanti salgono alle stelle.
Con il continuo calo dei residenti e l’aumento esponenziale dei turisti di passaggio, cambiano anche le attività commerciali: al posto dei negozi di prossimità spuntano sempre più catene della grande distribuzione e attività commerciali che vendono o paccottiglia per turisti o eccellenze gastronomiche della zona a prezzi elevati. Tutto questo incide sui piccoli commercianti, sulla capacità di acquisto dei residenti e sulla disgregazione del tessuto sociale nei quartieri, oltre a trasformare le città in luoghi identici, succursali di un grande parco tematico per turisti.
L’uso di denaro pubblico per la costruzione di opere che inseguono il miraggio del turismo di massa spesso coincide con minori investimenti e minore attenzione verso i servizi essenziali necessari al benessere della collettività: una reta di trasporti funzionale e accessibile, attività culturali e sociali, servizi per disabili e fasce deboli, miglioramento dell’assistenza sanitaria, servizi di welfare alle famiglie, solo per citarne alcuni.
Questi processi non contribuiscono però a creare nuovi posti di lavoro, ma producono un semplice spostamento di posti di lavoro da altri settori a quello turistico, soprattutto nella ristorazione, con il conseguente aumento di contratti stagionali e precari che vanno ad aggiungersi al lavoro nero già diffuso in questi settori. Gli unici a trarne veramente profitto sono i grandi investitori privati. Questo meccanismo in ambito immobiliare ha anche causato lo svuotamento di molti centri storici i cui residenti si sono trovati costretti a spostarsi in zone più periferiche.
Un altro fenomeno funzionale alla turistificazione è la crescente presenza di militari e polizia locale in tutti quei quartieri che potrebbero essere percepiti come poco sicuri dai turisti di passaggio. E così il denaro pubblico che potrebbe essere destinato alle politiche sociali, viene dirottato verso campagne di “sicurezza urbana” finalizzate all’allontanamento delle persone marginali, degli homeless e di altri soggetti vulnerabili dai quartieri vetrina della città. In queste zone, le persone che fruiscono dello spazio pubblico senza consumare, come ad esempio chi voglia riposare su una panchina o consumare cibo o bevande per strada fuori dagli spazi designati al consumo, vengono allontanate ed escluse. Questi meccanismi si inseriscono in un più ampio processo legato alla percezione dell’insicurezza da parte della popolazione. Se da un lato le statistiche mostrano una diminuzione costante dei reati, dall’altro cresce la massa di persone disoccupate, sottoccupate e marginalizzate che, invece di essere considerate povere e dunque destinatarie del supporto dei servizi sociali e dell’assistenza pubblica, vengono considerate un elemento di disturbo al decoro urbano. La risposta istituzionale all’insicurezza economica che colpisce chi vive nei quartieri attraversati dai turisti è ulteriore marginalizzazione se non addirittura repressione. Questa “soluzione” contribuisce a rafforzare l’associazione fra insicurezza e incolumità fisica a discapito di politiche di tutela del welfare pubblico, della salute, dell’educazione e del benessere sociale.
In molte città europee ed italiane questi processi sono già in uno stadio avanzato: a Bologna c’è un bar o ristorante ogni 37 abitanti, a Venezia l’impatto della turistificazione ha costretto l’amministrazione a installare dei tornelli per accedere ad alcune aree della città, a Lisbona ci sono 9 turisti per ogni abitante e a Berlino gli affitti sono aumentati del 71% dal 2009.
A differenza di queste città, Genova si trova ancora in una fase reversibile di questi cambiamenti. Prenderne coscienza prima che sia troppo tardi è il primo passo per immaginare e promuovere un turismo sostenibile che tenga conto del benessere dei residenti e del loro diritto alla città.
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