La repubblica marinara del Canale di Suez, storia di una guerra e di un ingorgo.
Nel marzo 2021 la nave portacontainer Ever Given lunga 400 metri si incaglia nel Canale si Suez.
Come scritto sul numero zero di SALE, “il gigantismo navale è la nuova frontiera, per ora rappresentata da 15 navi oltre i 300 m e da solamente 6 da 400 m”. Attraverso il Canale transita il 12% delle merci mondiali e il 30% del traffico dei container spediti via mare, l’ostruzione per 6 giorni causata dalla Ever Given blocca di fatto gli approvvigionamenti globali. Questo perché siamo in un pianeta sempre più globalizzato in cui operano aziende non più multinazionali bensì planetarie.
Non è però la prima volta nella storia in cui il Canale di Suez viene bloccato. Il 4 giugno 1967, in piena guerra fredda, 15 navi provenienti da vari paesi dei due blocchi (Regno Unito, Germania Ovest, Cecoslovacchia, Polonia, Svezia, Francia, Bulgaria e Stati Uniti) stanno attraversando il Canale di Suez. Il tempo di navigazione stimato è di quindici ore. Poco dopo l’alba però l’aviazione israeliana attacca a sorpresa quella egiziana annientandola a terra, è l’inizio della Guerra dei sei giorni combattuta tra il deserto d’Egitto e le alture del Sinai.
Le estremità del canale di Suez vengono immediatamente chiuse dagli egiziani, il presidente egiziano Nasser dà ordine di bloccarlo con detriti, navi affondate, chiatte e di posizionare mine sul basso fondale del canale.
La sua preoccupazione è quella di evitare che Israele accampi pretese sul canale che egli stesso ha nazionalizzato anni prima.
Le 15 navi che quel giorno lo stanno attraversando rimangono così intrappolate, 14 gettano l’ancora nel Grande Lago Amaro, uno dei laghi salati che si trova lungo il canale. Gli equipaggi sono costretti a rimanere a bordo per assicurarsi che le navi non si deteriorino e, soprattutto, che nessuno ne possa prendere possesso perché per la legge del mare, una nave abbandonata diventa di proprietà di chi ci sale a bordo. Così, grazie a un ponte aereo tra Atene e Il Cairo, gli armatori iniziano ad inviare pezzi di ricambio per le navi e scorte alimentari per gli equipaggi che in questo modo si organizzano per sopravvivere.
Noi la chiamiamo chiesa – raccontò il capitano Paul Wall al Los Angeles Times nel 1969 – ma in realtà è più una festa della birra
Questa flotta rinchiusa nel Canale di Suez viene ribattezzata Yellow Fleet, flotta gialla, per via della sabbia del deserto portata dalle tempeste e depositata sui ponti delle navi.
Dopo un anno bloccati nel canale, nell’estate 1968 la Great Bitter Lake Association, ispirata dalle ottobrine Olimpiadi di Città del Messico, decide di organizzare la propria Olimpiade personale a Suez. Le medaglie vengono forgiate dai marinai polacchi che fondono il piombo e lo dipingono d’oro, d’argento e bronzo. Tra le discipline spiccano vela, tuffi, atletica, tiro con l’arco (fatti a mano dagli stessi polacchi), pallanuoto in mare tra le navi e sollevamento pesi. Duecento marinai vengono impegnati nelle gare, tutti gli altri sono spettatori entusiasti. “Non avevamo nulla da soli, ma quello che avevamo lo abbiamo condiviso con tutti gli altri. Ogni uomo, di ogni nave, ha dato tutto quello che aveva e quelle gare ci aiutarono a conoscerci, a volerci bene, a rispettarci, a tenerci vivi”, così è scritto sul diario del capitano della nave polacca.
Non avevamo nulla da soli, ma quello che avevamo lo abbiamo condiviso con tutti gli altri. Ogni uomo, di ogni nave, ha dato tutto quello che aveva e quelle gare ci aiutarono a conoscerci, a volerci bene, a rispettarci, a tenerci vivi
Negli anni in cui la flotta gialla rimane arenata scoppia anche un’altra guerra, quella di Yom Kippur nel 1973 e una delle due navi statunitensi viene affondata per errore da un missile israeliano. Nel 1975, al termine della guerra, dopo 8 anni il Canale di Suez viene riaperto e liberato degli ingombri, contemporaneamente la Great Bitter Lake Association viene sciolta: 3mila tra marinai e ufficiali nel corso di otto anni ne hanno fatto parte. Con il passare del tempo era iniziata infatti una rotazione degli uomini che ogni tre mesi tornavano a casa.
Alla fine, nonostante i tentativi di manutenzione, quasi nessuna delle navi è in grado di navigare con i propri motori. Le tedesche Münsterland e Nordwind però sì. La Münsterland addirittura stabilì un record del mondo per aver fatto il più lungo viaggio marittimo commerciale della storia, partì dall’Australia e impiegò otto anni, tre mesi e cinque giorni per tornare a casa.
Una risposta a “Yellow Fleet”
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