Automazione

Al porto sembra che un disastro nucleare abbia colpito l’intera popolazione e non ci sia rimasto più nessuno abile al lavoro. I robot e l’automazione hanno conquistato le banchine, dal nostro rifugio vediamo i mezzi svoltare all’unisono senza essere guidati da persone. L’intensità dei loro fari è la stessa delle crepuscolari, che si sono accese come un domino che crolla. Quelle poche persone che lavorano lo fanno dentro a una cabina di regia, gestiscono il carico e scarico merci da postazioni con svariati monitor e joystic di comando. È come se fossero alla regia di un qualche programma televisivo pomeridiano, tipo di quelli dozzinali che servono solo a far passare il tempo a persone annoiate. Sulle banchine non c’è più l’odore della nafta dei camion né delle corde marcite e appesantite dall’acqua stagnante del porto. Non ci sono nemmeno più urla e voci umane. Sulle banchine tutto è in silenzio, si sente solo il rumore del vento che sferza l’acqua grigia del mare.

La navi drone si accostano alla banchina senza l’aiuto di alcuna presenza umana, siamo convinti di vivere ancora nel mondo che ricordavamo? Iniziamo a dirci che davvero, forse non ci siamo accorti che c’è stato un disastro nucleare che ha azzerato tutto. Davanti ai nostri occhi il Novecento è finito per sempre e ormai siamo dentro a un tempo nucleare e digitale, in cui tutto viene predetto da intelligenze artificiali e algoritmi sovrani. Nulla più è lasciato al nostro desiderio e tutto è calcolato per non avere sbavature, punti ciechi e posizioni laterali. Ricordiamo solamente che tempo fa le aziende digitali stavano vendendo ai media il concetto che l’automazione era funzionale alla sicurezza nei porti, in realtà già allora era un modo per fluidificare le operazioni commerciali senza che scioperi e proteste potessero rovinare i banchetti dei padroni. Dicevano che l’avrebbero fatto per il nostro bene, ogni volta che sentivamo quella frase ci guardavamo e sorridevamo in modo irriverente verso il loro paternalismo, i nostri interessi di classe non sono mai stati i loro.

Mentre lo guardiamo da lontano, il porto ci sembra la vittoria più nitida del capitalismo digitale e planetario. Nelle cuffie, una a te e una a me, ascoltiamo Radioactivity dei Kraftwerk, radioattività è nell’aria per te e per me/ per te e per me nello spazio sorge la radioattività. Sono le giuste parole per descrivere quello che vediamo, qualcosa è successo, non ce ne siamo accorti, tutto quello che vediamo attorno è come se fosse il frutto di uno spazio reso radioattivo. Penso a te, penso a noi, che abbiamo scelto di essere una forma di resistenza a questo mondo e abbiamo impedito di ricreare nella nostra relazione le stesse dinamiche di dominio, di violenza e di sopraffazione che determinano lo spazio là fuori. Ma cosa possiamo fare ora?

Radioattività è nell’aria per te e per me / per te e per me nello spazio sorge la radioattività.

Il rumore sintetico delle gru automatizzate riempie l’aria di infinite e sottilissime corde di nylon trasparenti in cui tutto rimane intrappolato, rumori nuovi per una nuova modernità. Rumori leggeri, trasparenti, si muovono nello spazio diffondendosi a bassa intensità. I robot si posizionano nei punti di carico e di scarico dei container e determinano così l’assenza del conflitto, l’impossibilità di dire di no, oggi non ho voglia di fare questa cosa, oggi sai che c’è? C’è che oggi incrocio le braccia. Non è più una questione di corpi e di arti purtroppo, tutto è superato, siamo in un tempo oltreumano e abbiamo bisogno di altre parole per definire quello che vediamo. Tutto quello che c’era prima è inutile per dare il nome a tutto quello che oggi è. Si sente solo il rumore sordo delle frenate dei mezzi, che ha la stessa intensità del rumore che fanno le nostre giacche sintetiche quando ci abbracciamo, infreddoliti e spaesati.

Al tramonto la luce rossa che filtra dalle nuvole viene riflessa dal grigio delle gru automatizzate, il colore riflesso ha le tonalità rarefatte della sabbia del deserto. Tutto attorno a noi si colora di arancione e lo spettro della visibilità scema irrimediabilmente. Nel giro di pochi secondi come un domino che crolla si attivano le crepuscolari del porto, una sterminata massa di luce tenue che permette a chi lavora in remoto di continuare a controllare che tutto funzioni. Noi intanto non possiamo fare altro che perderci in questo presente che ci sembra sempre più un futuro mai raggiunto, ci ripetiamo che inevitabilmente ci siamo persi qualcosa, dev’essere stata la radioattività, la radioattività ci ripetiamo.

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