Aria pesante

Il container ha fatto la fortuna del mercato globale risolvendo i problemi legati alla necessità di trasportare cose da una parte all’altra del pianeta in forme e quantità non omogenee, garantendo una logistica universale con degli standard divenuti rapidamente ecumenici in una misura forse inedita per la storia dell’uomo su questa terra.

Ha risolto problemi creandone però degli altri, il primo dei quali è la sua stessa esistenza e la sua presenza. In mare come in terra. Se viaggiare pieno di merce è una bazzecola per il container, fare ritorno alla base spesso è un’impresa veramente ardua e soprattutto costosa. Diamo due numeri per capire immediatamente di cosa parliamo: il costo di spedizione di un contenitore da 40 piedi (quelli più lunghi e più utilizzati) che dalla Cina arriva a Genova è oggi pari a circa 4 mila dollari, dopo che nel 2021 aveva raggiunto i 12mila dollari di quotazione mentre il viaggio da New York costa oggi circa 6 mila dollari, con punte vicine ai 15 mila nei mesi scorsi. Va da sé che ci sarà convenienza al trasporto quando il valore della merce contenuta dallo scatolone d’acciaio supererà in maniera congrua queste cifre. Facile con 76 metri cubi a disposizione. Al contrario, quindi, trasportare aria avrà costi difficili da armonizzare per una compagnia. Una portacontainer di medie dimensioni, da 15mila teu, che quindi può caricare 7500 container da 40 piedi, ipoteticamente riempita di contenitori vuoti avrà una perdita a ogni viaggio che potrà oscillare dai 30 ai 180 milioni di dollari mal contati in base alla disponibilità mondiale di stiva. Ingestibile.

Per questo motivo tutti gli attori della logistica, dalle compagnie di navigazione ai vettori terresti, cercano in tutti i modi di evitare di trasportare aria, provando ad organizzare viaggi di ritorno a pieno carico, magari incastrando una serie di combinazioni e tappe forzate per evitare di viaggiare in perdita. Ma questo gioco a incastri è molto complesso e non sempre riesce. E visto che il costo di produzione del singolo container si aggira sui 5 mila dollari, in questi decenni sono centinaia i contenitori finiti abbandonati da qualche parte, sostituiti da un più conveniente rimpiazzo ex novo.

Anche da qua derivano le cicliche crisi dei container: l’ultima in ordine di tempo è avvenuto tra le primavera del 2021 e l’inizio del 2022, quando l’economia mondiale è ripartita dopo lo stop legato alla pandemia. Inizialmente, però, lo scambio commerciale si è riavviato a una sola direzione. Da oriente verso occidente, dalla Cina produttrice all’Europa consumatrice. Dopo mesi di attesa, i paesi europei, sono tornati a importare beni e materie prime, tutti insieme: mentre a Shanghai si faceva fatica a trovare container vuoti, nei porti europei, gli scatoloni di acciaio non si sapeva più dove metterli, con gravi problemi di gestione di spazi, logistica e tempistiche.

In un porto come quello di Genova, secondo le stime, ogni anno la movimentazione dei container pieni d’aria raggiunge circa il 20% del totale. Tradotto in numeri, sui circa 2,8 milioni di container movimentati tra Sampierdarena, Psa e Vado, poco più di mezzo milione sono i vuoti. Una percentuale ancora maggiore si ha invece sul trasporto su gomma dei contenitori vuoti, che si attesta sul 27% dei viaggi totali su base europea. Se dalle finestre di casa vostra vedete dei container accatastati, sappiate che uno su cinque è vuoto, ma resta lì perché non conviene a nessuno che si muova. E se siete in coda in autostrada, sappiate che un container su quattro sta trasportando aria. Aria che costa, aria pesante.

Dicono che Genova vista dal mare sia bellissima, a noi di Genova però non capita spesso di vederla così perché per vederla dal mare bisogna partire o tornare.

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